S1546
Castiglione di Sicilia
Prov. Catania; Alt. 621 m; Sup. 120,41 km2;
Ab. 3.650
Municipio: Piazza Lauria n. 1, tel. +39 0942 980211
Sito internet del Comune
Notizie generali.
Situato su un colle
roccioso che domina la valle del fiume Alcàntara, Castiglione di Sicilia si
distingue per la ricca produzione vini DOC e IGP dell’Etna, ortaggi, nocciole,
agrumi e ottimo olio di oliva. Fiorente è l'allevamento di caprini e suini e la
produzione di formaggi e salumi tipici. Nel settore dell'artigianato
caratteristica è la realizzazione di splendidi arazzi, ricami, dolci di mandorle
e di nocciole. Il nome "Castiglione" deriva dal latino Castrum Leonis che
significa "Castello del Leone" poichè nella zona più alta del paese vi è una
rupe detta Leone. Il primo nucleo abitato fu fondato nel 403 a.C. da parte di
esuli della città di Naxos qui rifugiatisi dopo la distruzione della loro città
da parte di Dionisio I di Siracusa. In epoca araba la cittadina fu trasformata
in una fortezza e sotto le dinastie normanna e sveva divenne città regia. Nel
1283 divenne feudo del signore Ruggero di Lauria, quindi passò al nobile
Bartolomeo Gioeni e a tale casato rimase sino al 1655, anno dell'abolizione del
regime feudale. Di notevole interesse architettonico sono la Chiesa dei SS.
Pietro e Paolo edificata nel 1105, la Chiesa di S. Domenica, di tipico stile
bizantino, e la Chiesa di S. Antonio Abate con una splendida cupola bizantina
che conserva un altare in marmo policromo. Rilevanti sono pure il Castel Leone
di epoca normanna e i resti di un maestoso ponte arabo in cui si rintracciano
elementi medioevali. (Cinzia Bonaventura)
Alcune notizie citate nella Guida alla Sicilia jacopea.
La confraternita di S. Giacomo, ancora attiva a Castiglione di Sicilia, è tra le
più antiche associazioni laicali jacopee dell’isola. Essa, infatti, esisteva già
nel 1459, anno in cui pagava le decime apostoliche alla Chiesa di Roma. … La
chiesa di S. Giacomo era una domus disciplinae, cioè un luogo sacro in
cui i confrati praticavano la penitenza corporale percuotendosi con la
disciplina, ossia con il flagello, per espiare i loro peccati. Il rigore che
vigeva all'interno di questa confraternita si è mantenuto inalterato fino a 50
anni fa quando i confrati praticavano la penitenza della pietra al collo
('a petra o coddu). Si tratta di una pietra lavica del peso di 8
chilogrammi in cui è praticato un foro per fare scorrere una corda.